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  • Immagine del redattoreShirll Weirdrow

Il Giardino del Tempo - Capitolo 1

Un venticello freddo scivolava sulle strade, spostando qualche foglia morta e mischiandola alle cartacce e alla polvere della città. I lampioni erano già accesi e la loro luce si univa a quella delle vetrine addobbate con maschere raccapriccianti, ragni dalle zampe pelose e zucche ghignanti, per illuminare marciapiedi sconnessi e passanti indifferenti.

Federica Fresia, conosciuta anche come Fedora, stava osservando la propria immagine riflessa nella vetrata di un negozio d’abbigliamento. All’inizio la sua attenzione era stata rivolta agli abiti scuri e pieni di pizzi che trasformavano i manichini in giovani streghe, magre e diafane. Chi aveva preparato l’esposizione aveva messo cappelli a punta sulle loro teste, per giocare ancora di più con quell’effetto. A un certo punto il volto di Fedora si era trovato all’altezza di quello di un manichino e lei si era vista diventare una strega.

Il contrasto tra quell’immagine da superstizione popolare e l’idea che le sue compagne del forum avevano era abissale, eppure in quel momento aveva dubitato a quale dei due mondi appartenesse. Si era riconosciuta in quella figura dalle calze a righe e dal cappello a tesa larga, appuntito come un cono stradale. Vi si era riconosciuta con una forza e una familiarità lancinanti.

Quella strega dai capelli rossi arruffati e dai grandi occhi castani pieni di sicurezza era lei, in un altro punto della propria vita. Diversa eppure sempre uguale.

La visione si spense all’improvviso. La terra sotto i suoi piedi ondeggiò, rubandole l’equilibrio.

«Fede!» la voce si fece strada fino alla coscienza di Fedora, richiamandola in sé. «Federica, stai bene?».

Gli occhi di Fedora si fissarono in quelli nocciola di un’altra ragazza le cui braccia la sorreggevano premurose. «Ruggi… Lo hai sentito?»

La ragazza che sul forum si firmava Rugiada della Sera e che Fedora amava chiamare “Ruggi” ricambiò lo sguardo smarrita. «Sentito cosa?»

«Il terremoto… C’è stata una scossa proprio adesso. Era così forte che mi ha fatta cadere».

«No, io non ho sentito nulla».

Entrambe si guardarono attorno. La gente continuava a camminare inconsapevole, niente e nessuno appariva scosso dal terremoto. Eppure, all’interno della vetrina un lampadario in vetro di swarovski oscillava debolmente.

Fedora lo fissò, imitata dall’amica. Per un po’ nessuna delle due disse nulla, poi, quando l’oscillazione fu terminata, Fedora si mosse, liberandosi dall’incantesimo e trascinando con sé Rugiada.

Superarono altre vetrine addobbate per Halloween e qualcuna che già si preparava per il successivo Natale in una compressione del tempo che non permetteva ai passanti di godere appieno di ogni singolo giorno.

«Ci sono le caldarroste». La mano inguantata di Fedora, più paffuta di quanto non ricordasse, indicò un venditore ambulante che si scaldava al fuoco di un braciere, rimestando di quando in quando la mercanzia che scoppiettava allegramente.

Si sedettero su una panchina tra gli alberi di un chiostro, le mani strette attorno ai rispettivi cartocci. Mentre sbucciava la prima castagna, Fedora si rese conto di stare ancora confondendo le proprie dita con quelle della strega-manichino e provò un brivido.

«Avevi ragione,» Rugiada aveva tirato fuori dalla borsa il cellulare, la sua luce illuminava le dita che scorrevano su e giù per la pagina. «Poco fa c’è stata una nuova scossa, ma era leggerissima, appena 2.9… »

Fedora annuì, senza fare commenti.

«L'altro giorno ho avuto davvero paura…»

Sapeva a cosa si stava riferendo Rugiada. «Non ce n’era motivo.»

«Fede, quando hai una delle tue visioni, raramente sbagli. Che tu abbia sognato la fine del mondo, mi mette i brividi. Con tutte le cose che stanno accadendo, è una possibilità che non sembra così remota come vorremmo credere. E ora che tu l’hai sognato… Dovremmo riunire la congrega e cercare qualche… Soluzione».

La stessa Rugiada storse le labbra a quella proposta. Una piccola congrega di streghe come la loro non avrebbe potuto prevenire un evento di portata epocale come la distruzione della Terra, anche se fossero state tutte dotate di veri poteri come Fedora. E convincere le altre congreghe sparse per il pianeta del pericolo imminente era impossibile, perché le altre non conoscevano Fedora.

Lei aveva sorriso. Avrebbe voluto ridere, ma non ce la faceva.

C’era una parte di lei, la parte razionale, che non dava credito alle paure di Rugiada, che derideva il sogno fatto e la convinzione che si sarebbe avverato. Ma quella parte era schiacciata dalla consapevolezza di ciò che le era sempre accaduto intorno.

Si era avvicinata alla congrega proprio per sfuggire a se stessa, per trovare una spiegazione alle visioni che la perseguitavano. Rugiada e le altre ragazze credevano davvero alla Dea, al potere che ognuna possiede, eppure nessuna aveva mai incontrato una manifestazione di quella forza potente e tangibile come in Fedora.

Lei vedeva. Lei sentiva. Sapeva. Un brivido le salì lungo la schiena al ricordo della se stessa strega che aveva intravisto pochi minuti prima.

«Agnes è convinta che si tratti di qualcosa che riguarda solo me.» Mentre lo diceva, sapeva di essere la prima a non crederci.

«Le hai parlato ancora?»

Fedora annuì. «Sì. Abbiamo chattato in privato».

«Agnes è molto brava ad ascoltare le persone. È intelligente e acculturata. Io credo che nella vita reale sia una psicologa o qualcosa del genere. Però non ti conosce come ti conosco io, non sa di cosa sei capace».

Fedora inclinò la testa. «A volte ho l’impressione che lo sappia meglio di chiunque altro».

Rugiada ci pensò su per un po’. «Sa molte cose, è vero. Sul forum è quella che risponde meglio, a parte Glauco. Anche Triskell e Gaia, che lo hanno fondato, spesso devono chiedere consiglio a lei su incanti e cerimonie. Ma questo non significa che possieda il potere.

«Io me la immagino come una vecchia di cinquant’anni circondata da gatti neri e libri di magia…»

L’amica rise. Lei Agnes la immaginava in modo ben diverso. Non sapeva darle un’età, perché quando rispondeva ai commenti sul forum mostrava la cultura di un’adulta e il modo di fare di una ragazzina che si crede più intelligente di tutti gli altri. Viziata e capricciosa e tuttavia affidabile.

«A proposito, ci andrai alla festa a casa sua?»

«Non lo so. Me ne ha accennato prima, mentre eravamo in privato, ma stavo uscendo per raggiungerti e non ho perso tempo a leggere il suo post nel forum. Tu cosa pensi di fare per Samhain?»

Samhain era considerato il capodanno celtico e cadeva la notte del 31 ottobre. Mentre la maggior parte della gente usciva vestita in maschera e i bambini scorrazzavano di negozio in negozio a chiedere “dolcetto o scherzetto”, le wiccan si ritiravano nei boschi a celebrare la comunione con la Dea e l’inizio di un nuovo ciclo.

Fedora vi aveva partecipato un’unica volta ed era fuggita a casa, tra le rassicuranti luci della città. Forse si era lasciata suggestionare dall’atmosfera, o forse aveva intuito davvero quell’altro mondo che si trova a un passo dal nostro, un mondo di spiriti, che stava solo aspettando di aprirsi per lei. Se avesse indugiato un mero istante di più, qualcosa ne sarebbe uscito e l’avrebbe raggiunta.

Rabbrividì al ricordo.

Rugiada aveva abbassato lo sguardo, colpevole. «Io lo passerei volentieri con te, ma la congrega potrebbe aversene a male».

«Melania è una ragazza a posto e non è una fanatica. Hai visto, no? Se anche io non posso partecipare a qualche cerimonia, non mi ha mai detto nulla».

«Con te è diverso».

«Cosa intendi?»

«Lo sai, tu sei speciale. Fai parte della congrega e Melania ti vuole al suo fianco perché sa che hai dei veri poteri, che nessun’altra di noi potrà mai sognare. Se qualcuno ha dei dubbi, lei non deve far altro che chiamare te».

Fedora aggrottò la fronte. «Non so se sentirmi lusingata oppure offesa. Qualcuno ha accettato l’invito di Agnes?»

Rugiada annuì. «Sì, visto che ha offerto ospitalità, anche chi non è di qui sta pensando di raggiungerci. Klizia per esempio ha scritto di aver già acquistato i biglietti del treno, e il tuo Giacinto afferma che se ci sarai tu, lui non mancherà».

Fedora arrossì. «Non è il mio Giacinto. Avrà sì e no la tua età… E non ci siamo ancora mai visti».

«Anche se è giovane è comunque maggiorenne, io ci farei un pensierino. Non capisco perché tu non voglia incontrarlo».

«È ovvio! Non voglio incoraggiare la sua cotta».

Rugiada storse la bocca. «Che spreco».

Fedora si curvò in avanti, appoggiando i gomiti alle ginocchia e rovistando nel sacchetto delle castagne in cerca di qualche ghianda tra le bucce. Non era vero che non aveva mai incontrato Giacinto. Una volta lo aveva visto, durante un viaggio astrale.

A volte la sua anima si staccava dal corpo, come in un sogno fluttuava sopra un’altra Federica, addormentata, e se ne andava a visitare luoghi che altrimenti non avrebbe potuto raggiungere. Sapeva che non si trattava di semplici sogni, non perché erano realistici, concreti, non per le coincidenze che si presentavano con casuale precisione, ma per il modo in cui li viveva. Era uno spettro che aleggiava nel tempo, partecipe ed estranea a ogni scena che viveva.

Non le era mai capitato di interagire con qualcuno o qualcosa, non se lo era mai permesso. Aveva paura di quello che sarebbe accaduto se lei, che non si trovava là, avesse esercitato un’influenza su quel là.

Solo quella volta con Giacinto aveva infranto quella regola auto-imposta. L’aveva chiamata lui, si era accorto della sua presenza e aveva lasciato il proprio corpo con una rapidità che l’aveva allibita.

«Sei tu, vero?» le aveva chiesto.

E lei gli aveva permesso di trovarla. Le due anime si erano avvicinate, sospettose l’una dell’altra. Era la prima volta che vedeva Giacinto, il ragazzo misterioso che nel forum era sempre gentile, anche se scriveva pochi post e si connetteva solo quando c’era anche lei online. Si era stupita di quanto fosse giovane. E bello.

Aveva fatto una ricerca su di lui, dopo quell’incontro, e aveva scoperto che faceva il modello. Era rimasta sorpresa che anche nella carriera usasse il nome Giacinto. Era convinta che si trattasse di un nickname, perché tutti nel forum usavano soprannomi e quasi nessuno rivelava la propria vera identità. Ognuno aveva un personaggio.

Il personaggio di Giacinto però, sembrava essere quello che mostrava alla fotocamera e non il wiccan che le parlava in chat. E tuttavia entrambi la mettevano in soggezione.

Nel loro unico incontro, il Giacinto-spettro le aveva rivelato di essere innamorato di lei.

«Non ci conosciamo nemmeno,» aveva sorriso lei, impegnandosi a vincere l’imbarazzo che l’avrebbe trascinata via, di nuovo al sicuro nel suo guscio mortale.

«Io ti conosco da sempre». La convinzione tipica di un adolescente l’aveva intenerita e un po’ spaventata, perché un adolescente convinto dei propri sentimenti poteva essere difficile da gestire.

«C’è troppa differenza di età tra di noi».

Lo spirito di Giacinto si era spostato verso di lei, nel tempo di un pensiero le era volato attorno e le sue braccia l’avevano cinta, senza toccarla.

«Il tempo non ha importanza.» aveva sussurrato. «Se lo desideri, ti concederò tutto il tempo a mia disposizione e se vorrai, ne ruberò ancora, e te lo donerò. Così, il nostro tempo sarà infinito e non ci sarà più differenza tra di noi».

Si era scostato da lei e l’aveva guardata con l’espressione di un bambino viziato. «Così può andarti bene?»

Fedora si era ritratta da lui, capendo e allo stesso tempo non capendo ciò che Giacinto le stava proponendo. Lui era convinto di poterla, di doverla avere. Era convinto del proprio sentimento con una forza capace di distruggerla.

L’anima della donna era fuggita via, risucchiata nel corpo. Si era svegliata di soprassalto, un peso opprimente sul petto. Gli occhi avevano scrutato l’oscurità, le ombre che i fari delle auto spostavano in giro per la stanza, i movimenti delle tende con cui giocavano gli spifferi d’aria, ma non erano in grado di vedere l’anima di Giacinto, sempre che essa l’avesse seguita fino a casa.

Le era servito quasi un quarto d’ora prima di racimolare abbastanza coraggio da spingere la propria coscienza in esplorazione, alla ricerca di ciò che la vista non poteva scovare.

Non aveva trovato nulla: era tornata da sola.

Nei giorni seguenti Giacinto si era comportato in modo normale, non aveva mai accennato al loro incontro, né aveva insistito per sedurla. Solo per Fedora le cose erano cambiate, perché adesso la sua gentilezza, il suo comparire in chat solo quando c’era lei, le risposte che dava solo ai suoi post, assumevano un nuovo significato. E quando aveva visto che il ragazzo non era cambiato, che non si era fatto né invadente né insistente, allora aveva abbassato la guardia e aveva iniziato a sentirsi lusingata per le attenzioni di un pretendente giovane, bello e desiderato da tutte.

Era convinta che il mero crogiolarsi in quel sentimento, senza ricambiarlo, fosse qualcosa di accettabile e sicuro. Ogni tanto però, come in quel momento con Rugiada, si rendeva conto che non respingere con sicurezza il ragazzo, non faceva altro che lasciargli delle speranze che rischiavano di auto-alimentarsi.

L’idea di incontrarlo di persona alla festa di Agnes la terrorizzava, perché magari si sarebbero ignorati, magari lei avrebbe scoperto di aver sognato o di essersi immaginata le attenzioni di Giacinto, ma magari la scena si sarebbe ripetuta e allora lei avrebbe dovuto prendere una decisione.

«Comunque non trovi che sia suggestivo?»

La domanda di Rugiada la riportò alla panchina nel chiostro e alle caldarroste ormai fredde che teneva tra le mani.

«Che cosa?»

«Il fatto che molti di noi abitino così vicini. Noi del forum, intendo. Tu ed io facciamo addirittura parte della stessa congrega. Giacinto abita nella nostra stessa città. Ero convinta che Agnes non fosse di qui, perché non l’avevamo ancora incontrata di persona, e invece l’indirizzo che ha dato è di questa periferia! E credo che anche Glauco stia da queste parti….»

“Le coincidenze non esistono” era una convinzione su cui si basava molta della filosofia di Roberta e delle sue sorelle, ma prima che potesse reiterare quel concetto un movimento tra gli alberi del chiostro attirò la sua attenzione.

«Cosa c’é?»

Rugiada scosse la testa. «Uno dei monaci del convento, credo. È passato così veloce che non lo ho notato se non con la coda dell’occhio. Con quel saio bianco sembrava un fantasma e mi ha spaventato».

«Un saio bianco?» Fedora allungò il collo alla ricerca della figura che aveva distratto l’amica. «I monaci non indossano il marrone?»

«Già. Che strano, vero?» Roberta sorrise, ma il suo fu un sorriso tirato: quella non era la prima volta che si sentiva spiata da quello spettro.



***



Agnes fu spaventata, più che sorpresa di ricevere così tanti ospiti a casa propria.

Da quando aveva condiviso l'idea della festa di Halloween sul forum, invitando i membri a partecipare, ogni sera aveva ripetuto lo stesso rituale: con uno stilo ricavato dal ramo dell’albero più antico che potesse raggiungere aveva tracciato un cerchio su di un foglio, usando un inchiostro fatto con bacche di sambuco e rugiada raccolta in una mattina di luna nuova. All’interno del cerchio aveva scritto il nome di Fedora, l’unica che desiderasse davvero incontrare. All’esterno del cerchio avrebbe dovuto scrivere tutti i nomi delle persone che avrebbero potuto ricevere l’invito, ma che non desiderava lo accogliessero.

Elencare tutti gli iscritti al forum le era parso eccessivo e aveva invece preferito concentrarsi su quegli utenti più attivi, che seguivano i suoi post e avevano comunicato con lei in un modo o in un altro, ovvero coloro che potevano desiderare conoscerla di persona. Era abbastanza certa che in questo modo solo Fedora sarebbe caduta sotto l’influsso dell’incanto.

Era altresì consapevole che le cose potevano non andare come pianificato: se Fedora fosse stata una strega forte, avrebbe potuto eludere la malia o addirittura non sentirne nemmeno gli effetti. D’altro canto, se non era lei la vera strega, che ne fosse consapevole o meno, l’altra poteva accorgersi della trappola e iniziare a stare in guardia.

Ma quando alla sua porta si erano presentati in sei, Agnes aveva provato un brivido.

Sei individui potenti. Sei possibili minacce.

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