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  • Immagine del redattoreShirll Weirdrow

Il Giardino del Tempo - Capitolo 2

La casa di Agnes era qualcosa che né Fedora né Rugiada si erano aspettate. Un recinto di ferro battuto, scuro e contorto, si mescolava ad alberi dai rami cadenti per delimitare uno spazio dalle dimensioni imprecise, dominato da una villa non grande, ma imponente, con le mura in pietra antica, i balconi massicci e al contempo delicati e i tetti di tegole brune dai profili curvi e dalle cuspidi appuntite.

Le foglie d’autunno avevano tinto il terreno di un rosso cupo e di un giallo intenso e le macchie di prato rimasto libero si aprivano scure come pozze di vuoto. Ai lati del cancello e qua e là nel piccolo parco, lanterne in metallo spandevano una luce discreta, che non voleva fugare le ombre, ma piuttosto accentuarle.

Sulla scalinata che conduceva verso l’ingresso, alla fine di un sentiero ricoperto di sassolini, una zucca sogghignava minacciosa, pronta a mettere in fuga gli spiriti che in quella notte avrebbero tentato di raggiungere il nostro mondo.

«Sapevi che esisteva questa casa?»

Fedora scosse la testa. «No, non l’avevo mai notata, ma non passo quasi mai da queste parti».

Le due ragazze esitarono. La scoperta improvvisa che Agnes abitava vicino a loro, il mistero che la avvolgeva e l’atmosfera stessa che emanava dalla piccola villa, tutto contribuiva a metterle in allerta.

Percorsero il sentiero di ghiaia producendo uno scricchiolio attutito che era un rumore assordante nel silenzio che le avvolgeva. Quel silenzio suonava misterioso e inatteso alla periferia della città.

Rugiada si bloccò all’inizio della scalinata, gli occhi fissi in quelli della zucca.

«Siamo ancora in tempo per tornare indietro?»

Fedora, che aveva già superato il controllo dell’ortaggio, si voltò indietro e protese la mano verso l’amica. «Ormai siamo qui, non avrai paura di una zucca, vero?»

Rugiada non aveva paura di una zucca, in generale non aveva paura di nulla, ma sentiva di non poter andare oltre. Se Fedora non avesse ridisceso i gradini per afferrarla da sotto un braccio, lei sarebbe rimasta lì, prigioniera in quel punto del mondo, in attesa del sorgere dell’alba e dello spegnersi degli occhi di fiamma della sua carceriera.

Invece la pressione rassicurante delle mani di Fedora attraverso il cappotto viola fu sufficiente a infrangere la barriera, divenendo un salvacondotto che le permise di andare oltre, lasciandosi alle spalle anche il ricordo di quel blocco soprannaturale.

Il suono del campanello fu un comune scampanellio, che quasi ruppe l’atmosfera che si era creata.

Agnes aprì la porta pochi attimi dopo. Avevano deciso di non indossare costumi né di truccarsi, ma per un istante pensarono che lei avesse infranto quella regola.

Era una ragazza magra e slanciata. Indossava un abito nero in maglina, con le maniche a cono e dalla scollatura ampia, a barchetta, che rivelava un collo sottile e delle spalle asciutte. L’abito le sfiorava appena le ginocchia diritte, nascoste da calze color carne percorse da un filare di linee spezzate. I capelli bruni le scendevano lungo la schiena in onde disordinate, che non si era presa la briga di sistemare in alcun modo.

Quando le vide, l’espressione di impaziente attesa ebbe un cedimento e le sue sopracciglia si incurvarono, in un misto di sorpresa e smarrimento. Riprese però veloce il controllo e sorrise, invitandole a entrare.

Fedora e Rugiada scivolarono all’interno dell’atrio guardandosi attorno con meraviglia. Come all’esterno, la casa si mostrava vecchia, quasi antica, per il gusto con cui erano disposti gli spazi, piccoli e sfruttati al massimo, ma anche per il legno che riempiva i muri sotto forma di mensole, stipiti, ripiani e nicchie. Eppure, osservando gli infissi e la buona conservazione dei mobili, si capiva che non poteva essere stata costruita più di qualche lustro prima.

Dietro a una porta intagliata c’era un piccolo guardaroba in cui riporre i cappotti, un arco di mattoni a vista su cui si arrampicava un viticcio di edera rigogliosa dava accesso alla sala. Al centro un tavolo in legno massello era imbandito con i cibi tipici dello halloween moderno, una grande bacinella accoglieva un ponch invitante, mentre dolci e piatti vari erano guarniti con insetti, frammenti di pelle, occhi che parevano guardarti, vermi e altre raccapriccianti idee.

Dopo aver riposto le loro giacche, Agnes sorrise alle sue ospiti.

«Accomodatevi pure». Il suo sorriso però era freddo, quasi forzato.

Fedora scelse di ignorare l’apparente disagio della padrona di casa e le porse la mano. «Io sono Federica, sul forum mi conosci come Fedora, e lei è Rugiada delle Stelle, Roberta per gli amici».

Mentre stringeva la mano di Fedora, Agnes non distolse lo sguardo da quello di lei, il suo dito indice si appoggiò al polso della ragazza e non la lasciò andare per tutti i secondi che le ci vollero a sublimare le sensazioni che Fedora le trasmetteva.

Non riconobbe in lei una strega, né una maga. Le sembrò normale, una persona come tante altre. Eppure non potè non notare che il suo aspetto tradiva un sicuro legame tra la donna e il Tempo: il suo volto da adolescente, troppo giovane per una donna che aveva superato i trent’anni, non poteva essere frutto del caso, né di creme o della chirurgia. A parte questo dettaglio, nulla in lei attirava l’attenzione di Agnes.

Quest’ultima se ne sentì delusa. Aveva nutrito la speranza di avere trovato la propria nemica, dopo tanto cercare, ma forse si era semplicemente illusa di saperla riconoscere una volta incontrata. Poteva non essere così, poteva avere una rivale ancora più potente di quanto si fosse aspettata e allora non sarebbe bastato un semplice confronto faccia a faccia.

Per questo aveva predisposto una trappola all’interno della casa.

L'attenzione di Agnes si spostò su Rugiada. Non aveva mai nutrito un particolare interesse nei suoi confronti, ritenendola sciocca e priva di talento. Eppure era arrivata fino a casa sua, la malia di protezione che aveva usato sulle scale non era riuscita a dissuaderla.

Con una nuova disposizione d'animo le porse la mano, gli occhi fissi in quelli nocciola. Fu sorpresa di scoprire che nemmeno in lei percepiva una grande potenzialità. Qualcosa c’era, ma era legato alla sua fede nella Dea Madre e agli anni in cui aveva praticato incanti e cerimonie. La vera fede, in qualsiasi cosa fosse riposta, possedeva un potere tutto suo, che si auto-alimentava e che a volte poteva raggiungere risultati insperati. Per cosa Roberta Lotto usasse quel potere non era chiaro ad Agnes, ma sicuramente non per mantenersi giovane, perché il suo aspetto era quello che ci si sarebbe aspettati: una ragazza sui vent’anni, leggermente in sovrappeso, ma in buona salute e appena più bassa della media.

«Io mi chiamo Agnese Carmona, ma potete continuare a chiamarmi Agnes se vi sta bene».

Fedora annuì.

«Agnese, avrei dovuto aspettarmelo!»

Agnes squadrò Rugiada della Sera, ma la ragazza non era interessata a spiegare il proprio, superfluo, commento. I suoi occhi stavano già scrutando la stanza che avevano di fronte.

«Non c’è nessun altro?»

Agnes le condusse nella sala da pranzo, la sua mano indicò il buffet. «Siete state le prime ad arrivare. Se avete fame non fate complimenti, è tutto per voi».

Fedora guardò Roberta gettarsi su un canapè ai vermi di spuma rosa. «Non sarebbe più corretto aspettare gli altri?»

Agnes scrollò le spalle. Con tranquillità si diresse verso una poltroncina in vimini in un angolo della sala, ma prima che potesse sedervisi, il suono del campanello la bloccò a mezz’aria, facendole scorrere un brivido lungo la schiena. Fedora avrebbe detto che era impallidita, quando le passò davanti, ma la carnagione di Agnes era così pallida di suo che non poteva esserne certa.

La mano abbassò la maniglia e schiuse con cautela l’uscio.

In cima alla breve scalinata c’era un uomo di quaranta, forse cinquant’anni. Aveva una corta barba ben curata, bruna come bruni erano i suoi capelli. Le sorrise. «Spero di non essere di troppo. Il tuo invito era rivolto a tutti nel forum, anche agli amministratori, vero?»

Agnes ricambiò il sorriso dell’Admin tirando le labbra senza sforzarsi di nascondere il proprio fastidio. La serenità di Glauco non ne fu intaccata e Agnes si fece da parte per lasciarlo entrare. Fu in quel momento che si accorse del giovane che stava seguendo l’uomo e i suoi occhi si spalancarono, le pupille si dilatarono e le sue labbra ebbero un tremito.

Glauco si voltò e il suo sorriso si distese, gli occhi si chiusero per un istante, confermandole che sì, era proprio chi lei pensava.

Giacinto stava salendo gli scalini con grazia. All’altezza della zucca fece una piroetta su se stesso per osservarla, ma subito si spostò sul gradino successivo. Sembrava quasi non toccarli nemmeno. Era poco più che adolescente, giovane, magro. Indossava un maglione grigio a collo alto e teneva le mani nelle tasche di un paio di pantaloni di velluto, una sciarpa arancione che aveva avvolto al collo gli fluttuava alle spalle come un’ala solitaria o la coda di un pesce che nuoti nell’aria. I capelli color del grano scendevano ordinati oltre le orecchie ben fatte.

Quando fu atterrato sull’ultimo gradino si bloccò, gli occhi fissi in quelli di Agnes, sorpresi di una sorpresa diversa da quelli di lei, giocosamente curiosi e per niente spaventati.

I due poterono studiarsi per un attimo soltanto, perché Glauco fece un passo avanti. «Non ci fai entrare?»

Deglutendo, Agnes indietreggiò nell’ingresso. Glauco e Giacinto scivolarono oltre la soglia.

Il giovane modello parve dimenticarsi subito di Agnes, perso ad ammirare la casa in cui si trovava, intento a seguire i profili disegnati dai mattoni e le curve dei legni antichi, tra i vasi in terracotta delle piante aromatiche e le stoviglie in rame che facevano capolino dalle mensole.

Quando il volto di Fedora, uscito dalla sala per accoglierli, attirò la sua attenzione, il sorriso di Giacinto si caricò di una luminosità radiosa. Lei cercò di fuggire nella stanza da cui era appena giunta, ma lui le andò dietro con la sua grazia leggera.

Agnes lo seguì con lo sguardo, incapace di muoversi.

Le voci dei suoi tre ospiti si stavano già intrecciando in risate e presentazioni nella sala da pranzo, quando la sua rotolò attraverso le labbra, flebile come un segreto.

«Lo hai portato tu qui?»

Glauco era rimasto accanto a lei, in attesa, con un sorriso pacifico immobile sotto i baffi.

Scosse la testa. «No. Lo ho incontrato qui fuori».

«Avevi…» Agnes faticava a trovare le parole.

«Il sospetto di chi si trattasse?» L’uomo non mostrava alcuna emozione, se non la calma misurata di chi è in pace con se stesso e ha il controllo sulla propria esistenza. Osservava la ragazza torreggiando su di lei con la sua mole massiccia, ma trasmetteva un senso di protezione piuttosto che minaccia. Se Agnes era alta, lui la superava di almeno dieci centimetri. Di fianco a lei che appariva magra e stretta, lui risultava proporzionato e semplicemente grosso.

La testa su cui avevano appena iniziato a comparire i primi capelli bianchi si volse verso la sala con un movimento lento. «No, nemmeno per un istante. Mi ha sorpreso, non avrei mai creduto di incontrare uno come lui. Non qui».

Fece una pausa che Agnes non colmò.

«Mi domando se abbia a che fare con quello che sta accadendo». Solo i suoi occhi si mossero per controllare la reazione della ragazza. «Lo avevi già incontrato, vero?»

Agnes socchiuse le palpebre, ricordando. «Non proprio».

Glauco attese che lei si confidasse, invece un angolo delle labbra della ragazza si incurvò in un sorriso sprezzante, i suoi occhi dardeggiarono verso di lui.

«Avevo il sospetto che fossi proprio tu a nasconderti dietro al nostro amministratore del forum. Mi stavi tenendo d’occhio?»

La barba di Glauco si fece più piena mentre sorrideva e i suoi occhi brillavano. «In realtà è stato un caso. Ho capito subito che Agnes eri tu. Non ne avevo dubbio, però non ero lì per te. Stavo portando avanti le mie ricerche. Ora però sono curioso di sapere cosa hai in mente, anche se posso immaginarlo».

Agnes si accorse di stare trattenendo il respiro. Sforzandosi di riprendere il ritmo naturale e di espirare, fece un passo verso la sala.

«Chissà, è probabile che potremo lavorare insieme.» commentò.

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